Sfogliato da
Giorno: 23 Aprile 2013

Napoli al tempo dell’America’s Cup

Napoli al tempo dell’America’s Cup

Sarà che a parlar male di Napoli son bravi tutti, ma quanto è vero che poi la apprezzi davvero solo quando, una volta lasciata… ci ritorni.
E, proprio in occasione del mio primo ritorno a Napoli dopo “l’emigrazione”, che in aereo ho trovato l’articolo che vi ripropongo qui di seguito. Probabilmente da napoletano che quei luoghi, odori e sapori li conosce, ho ritrovato in queste righe riassunta l’essenza della bellezza di Napoli, che con i suoi mille problemi e contraddizioni resta un luogo in cui, dopotutto… non puoi non lasciarci il cuore.
Un pensiero a chi combatte per Napoli, e un invito per chi non la conosce ad innamorarsene.

Colgo anche l’occasione per pubblicare in anteprima alcune delle foto scattate Sabato 20 Aprile

Buona lettura…

Naples Gulf During America's Cup 2013

riq_articolo

Il mare è innamorato di Napoli. Un amore che dura da millenni, quanto è antica la città; un amore geloso e contrastato, goloso e conoscitore. Lo capisci camminando per quella terrazza sul golfo che è via Caracciolo, restituita da poco all’arte perduta delle passeggiate, tra l’acqua e la Villa Comunale; sbucando da un vicolo scuro di Chiaia per essere abbagliato dal riverbero; in alto, cercando l’azzurro del Tirreno tra il verde nel parco Grifeo. Il mare, a Napoli, ha imparato mille trucchi per continuare a stupire. E Napoli ne conosce altrettanti per irretire il mare.

Così, puoi averlo visto in centinaia di fotografie, di stampe, di acquerelli, di pitture a olio, in ampie vedute o negli scorci dei paesaggisti, e sorgere tra gli inchiostri di un portolano, dietro il fregio di una coda di sirena. Puoi averlo guardato dal vero e da vicino, sul piccolo villaggio nell’isolotto di tufo di Megaride, accanto ai bastioni quasi materni di Castel dell’Ovo; a precipizio dagli spalti di Castel Sant’Elmo, o disteso verso l’orizzonte dai bordi altoborghesi di via Petrarca. Il golfo di Napoli è probabilmente lo specchio d’acqua più conosciuto, ritratto e rappresentato del pianeta, che sia una quinta teatrale anonima o una tela intrisa di romanticismo di Anton Pitloo, l’olandese stregato dalla luce di Posillipo. Eppure riesce a meravigliare, ogni volta.

Il prossimo spettacolo collettivo sul palcoscenico del mare del golfo sarà la serie di regate, che avranno il culmine nelle World Series dell’Americas Cup, a metà aprile. È la seconda volta consecutiva che i bolidi a vela della Coppa America tornano a sfilare davanti al lungomare di via Caracciolo.

Gruppo_1

Lo scorso anno accorse a vederli mezzo milione di spettatori. Napoli, come un teatro marino, ha platee, palchi, loggioni. Dai terrazzi delle case di Chiaia agli spalti del lungomare e nel percorso che sale a Posillipo; dalle suites d’albergo alle sdraio dei circoli velici storici partenopei. Questi ultimi hanno aperto per l’occasione i loro cancelli a chiunque sia socio di un club di vela, di ogni parte del mondo. Inoltre, quest’anno, gli otto circoli storici hanno organizzato una doppia regata d’apertura il 13 aprile e il 14 aprile: il trofeo Grande Vela, su un campo di regata che arriva fino a Pozzuoli. Poi, dal 16 al 21, su un percorso più breve, in pratica davanti al Lungomare Caracciolo, si sfideranno i catamarani dell’America’s Cup, che eseguiranno virate e strambate a pochi metri dalla riva. Uno spettacolo ravvicinato, la topografia della città permette di assistere alle regate con i “piedi nell’acqua”. I napoletani sono abituati a vivere con il Tirreno sull’uscio di casa. Lo respirano. Lo usano. Che sia per andare a pescare o per una gita alle isole. Totò, nella sua parte di “imperatore di Capri”, saltava su un motoscafo per sbarcare in un attimo, avventurosamente, a Marina Grande. Lo scrittore Raffaele La Capria si tuffava ad angelo dal balcone di palazzo Donn’Anna, a Posillipo. Giuseppe Marotta lo chiamava un “mare domestico che sente d’alga e di sale come nessun altro mare”. L’odore del mare ti segue dappertutto a Napoli, anche quando non lo vedi. T’inebria a via Partenope e si fa denso nei “quartieri”, ti coglie di sorpresa e ti stordisce, a zaffate, perfino nel brulichio di San Biagio dei Librai e di via dei Tribunali.

E una simbiosi. Napoli sull’acqua c’è nata. Il primo insediamento dei coloni greci è stato probabilmente l’isolotto di tufo di Megaride. Più tardi, in epoca romana, il patrizio Licinio Lucullo vi fece costruire una villa nei cui giardini piantò alberi di pesco fatti venire dalla Persia e alberi di ciliegio da Cerasunto. I napoletani, sedotti, cominciavano a sedurre il mare. Più tardi la villa divenne Castel dell’Ovo, fatto di torri normanne, prigioni sveve, stanze del tesoro angioine, rifacimenti borbonici. Secondo una leggenda custodirebbe un uovo posto al suo interno da un Virgilio mago, oltre che poeta. Se l’uovo venisse sottratto, la città sarebbe colpita da rovina. Sembra che l’antichissimo castello ancora lo covi, quell’uovo misterioso. Sull’isola c’è anche l’aristocratico Circolo Savoia, il più prestigioso club velico della città, insieme al Circolo Italia: è nato accanto alla fornace della bottega di un fabbro; alle prime uscite, gli equipaggi venivano coperti dalle ceneri del mantice, una storia tutta napoletana, che mischia popolo e nobiltà. Sono a pochi metri dal mare, anche se il mare s’intuisce solo, la scenografia perfetta di piazza Plebiscito e il teatro San Carlo, il più antico teatro d’opera d’Europa, che abbagliò Stendhal.

E Chiaia, che una volta era una spiaggia, anche nel nome (viene da playa, spiaggia in spagnolo), oggi è il “salotto buono” di Napoli, con i magnifici palazzi fatti costruire dal ’600 alla fine dell’800 dall’aristocrazia come residenza estiva. In uno di questi (oggi palazzo Ruffo della Scaletta, sede del Goethe Institut), il cardinale Tiberio Carafa allestì un giardino zoologico, con tanto di bestie feroci. E poi: il rosso pompeiano della facciata di palazzo Caracciolo di San Teodoro, le torrette del palazzo Caravita di Sirignano, la mole di palazzo Ravaschieri, alleggerita dai busti che sbirciano dai timpani sopra le finestre. Palazzo Carafa della Roccella oggi ospita il Pan, uno dei poli delle arti, insieme al museo Madre. Si esce da una mostra e non si può evitare – anche a costo della fila – di prendere una pizzetta nel vicino bar Moccia – sono le più gustose di Napoli. E quindi del mondo. Di sera il quartiere si anima in una festa itinerante, dai baretti di Vico Belledonne agli aperitivi gremiti del Clu di via Poerio. La notte si allunga sulla costa fino al Teatro Posillipo, versione contemporanea di un café chantant, dove si balla con musica dal vivo fino a tardi. Il mare corteggia Napoli e la consuma. E sempre stato un amore difficile. Basta scorrere la storia remota e recente della città. Basta ricordare il furore (pure innamorato) del titolo di un libro famoso di Anna Maria Ortese: Il mare

Luna Rossa e Castel dell'ovo

non bagna Napoli. Ma è stato un amore felice. Basta cercare, nella memoria, una delle mille canzoni di Napoli.

Il mare, tra un verso e una nota, c’è quasi sempre. No, il mare non bagna Napoli: la morde e la bacia. Scava nicchie nell’immaginazione. A Mergellina, dove il suo sentore di-venta quasi commestibile, tra le fontane e le rampe. Nel borgo di Marechiaro, dove regna la calma piatta, protetti dallo scoglione; dove la luna fa venire voglia anche ai pesci di fare all’amore, come dice una delle ballate più ispirate di Salvatore di Giacomo. Dalle scale e dai ristoranti, la vista sul golfo è struggente. Come lo è la salita al promontorio di Posillipo: quartieri alti e pini svettanti, ville fin de siècle e le rovine della villa imperiale di Pausilypon: il golfo da qui sembra chinarsi sul Tirreno in un abbraccio. Da questo panorama, all’inizio dell’800, è nata un’intera scuola di pittura. Il mare bacia Napoli, la consuma. E mentre la consuma, la crea.

Fonte: (Alitalia ULISSE Magazine Aprile 2013) di Stefano Piraghi